1 aprile 2024

Ripensare Dio. Pensiero tragico e cristianesimo agonico nella filosofia di Luigi Pareyson

 


L’occasione di questa raccolta di citazioni è la preparazione a un’intervento nell’ambito della cogestione dell’Istituto di Istruzione Superiore “Allende-Custodi”, nell’anno scolastico 2023-2024. Tema dell’attività: Dio altrimenti detto, in collaborazione col prof. Marco Bracchi, dottore in teologia, che affronterà il tema parlando di Jean-Luc Marion (seguirà poi una discussione e un dibattito aperto con gli studenti).

La presentazione del pensiero di Pareyson verrà svolta oralmente in sede di cogestione. Questa raccolta di citazioni ha lo scopo di fornire un primo momento di approfondimento per chi volesse, in seguito all’attività, capire meglio leggendo qualcosa direttamente dal testo dell’autore.


Qui mi limito a dire alcune cose essenziali, che possono servire a inquadrare la raccolta. 

Luigi Pareyson (1918-91) è stato filosofo di grande spessore, che ha discusso e sviluppato l’esistenzialismo, ha reinterpretato l’idealismo classico, ha elaborato un’estetica e ha proposto una particolare forma di ermeneutica, declinata – nell’opera da cui traggo le citazioni – come interpretazione filosofica dell’esperienza religiosa.

     L’interesse che riveste questo sviluppo della sua filosofia risiede nella sua volontà di ripensare l’idea di Dio alla luce del problema del male e della sofferenza, ma senza ripercorrere le strade già battute della teodicea tradizionale. Pareyson ci propone una riflessione profonda che mantiene fermi alcuni caposaldi della fede cristiana, ma ne reinterpreta i fondamenti e si pone come alternativa sia al nichilismo, sia all’ateismo, sia al cristianesimo tradizionale, cercando di porsi in confronto con la sensibilità contemporanea, cogliendone gli aspetti più drammatici e difficili.

     La libertà viene posta come categoria fondamentale, cuore pulsante della realtà (non fondamento statico). La libertà come inizio assoluto e come scelta. La libertà è in Dio, che origina se stesso sconfiggendo il nulla e il male, sia nell’uomo, che sceglie il male (nel peccato originale) e costringe Dio a intervenire per riparare il danno attraverso la sofferenza, che ha il potere di vincere il male, risvegliato dalla scelta dell’uomo. Il male però non è stato inventato dall’uomo, era rimasto come possibilità nel confronto iniziale di Dio col nulla, che è confronto di Dio con la sua stessa libertà e con il nulla. Il male era rimasto in Dio come possibilità non realizzata, e l’uomo scegliendolo l’ha reso realtà, incuneando nell’eternità del bene scelto da Dio un tempo storico nel quale Dio deve intervenire.

        Il tema della salvezza non è stato qui ricostruito (se non per brevissimi cenni). 

    Pareyson riesce quindi a rovesciare completamente il dibattito tradizionale per il quale la presenza del male nel mondo porrebbe una questione teorica di giustificazione dell’operato divino, ritenendo che il riconoscere la presenza del male sia in realtà anche riconoscere l’esistenza di Dio, interpretato come scelta originaria del bene che crea, orienta e dà senso al mondo e alla vita. Senso del mondo e della vita che sono però fortemente condizionati dalla caduta umana, le cui conseguenze continuiamo a vivere nel nostro presente, carico di male e di sofferenza.

    Alla base del rifiuto di Pareyson verso le soluzioni tradizionali del problema del male, in ambito religioso e teologico, vi è la sua convinzione che tutti gli argomenti tendano sostanzialmente a negare la realtà del male, realtà che invece Pareyson (come anche Freud, quando ha teorizzato la pulsione di morte) intende accettare in pieno.

     


Milano, 1 aprile 2024



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PERCORSO DI CITAZIONI

da

L. Pareyson, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, 1995/200




p. 10: “l’uomo è un rapporto[...]un rapporto con l’essere,[...]rapporto con altro.[...]Quindi la situazione[...]è un’apertura all’essere.”


p. 10-11: “L’essere è irrelativo, cioè inoggettivabile, non si riduce, non si risolve nel rapporto [...] L’uomo è in rapporto in quanto egli è, costitutivamente, questo rapporto.”


p. 11: “Come irrelativo, l’essere si sottrae al rapporto, è irriducibile, eppure è presente nel rapporto nel senso che lo istituisce. Non si può offrire se non all’interno di quel rapporto ontologico che l’uomo è. E’ termine irrelativo di un rapporto, presente nel rapporto come irriducibile e inconfigurabile.”


p. 11. “Insomma, l’essere è in rapporto con l’uomo solo in quanto l’uomo è in rapporto con l’essere. L’essere si dà all’uomo solo all’interno di quel rapporto con l’essere che l’uomo è.[...]Qui abbiamo una inseparablità di esistenza e trascendenza[...] è coincidenza di autorelazione ed eterorelazione.”


p. 21: “non c’è libertà senza l’essere ch’essa può affermare o rinnegare e così via; non c’è l’essere senza libertà ma nel senso che l’essere è un appello alla libertà […] anche in quanto l’essere stesso è un appello alla libertà in quanto la reclama e la suscita - non solo, ma anche in quanto l’essere stesso è libertà. E qui si apre un vertiginoso spiraglio sul fondo abissale della libertà, della sua inesauribilità.[...]I due termini si identificano, si convertono: al culmine della scala della libertà l’essere stesso è libertà e la libertà stessa è essere; non in confusione, non in mescolanza, ma in una chiara convertibilità.[...]L’essere liberamente si concede all’atto che lo afferma potendolo rifiutare, e all’atto che lo rinnega potendolo accogliere. L’essere è libertà in quanto è un libero appello alla scelta. Nella scelta è in questione la libertà stessa, potendo essa stessa o confermarsi o distruggersi, ed è in questione l’essere stesso, in quanto la libertà può affermarlo o tradirlo. Le due cose sono tutt’uno, cioè l’essere è un libero appello alla scelta nel senso che nella scelta è in questione la libertà stessa ed è in questione l’essere stesso: le due cose sono tutt’uno”


p. 22: “ Abbiamo questo nuovo principio: solo la libertà precede e può precedere la libertà…. e solo la libertà segue la libertà: sia come antecedente sia come susseguente la libertà non tollera e non implica che la libertà. Solo la libertà campeggia e domina la scena dell’universo. L’universo, se si vada al suo cuore, alla sua estensione… l’intera vicenda, l’intera realtà non è che un solo atto di libertà.[...]tutto si riassume in questo: libertà pura.”


p. 22: “la libertà[...]è il cuore stesso del reale.[...]l’essere, inteso come libertà, non è un essere metafisico, causa, sostanza, principio, fondamento, ecc. no, perché la libertà è un non-fondamento”


p.22-23: “Ora, giunti a questo punto, ogni ulteriore approfondimento è possibile solo facendo ricorso all’esperienza religiosa, non per trarne dei contenuti, ma per trarne dei sensi, dei significati.[...]riflessione filosofica intesa come ermeneutica del mito… riflessione sull’esperienza religiosa, perché l’esperienza religiosa (la coscienza religiosa) fa parte insieme con l’arte, con il pensiero originario, con la praticità intesa come costume o altro che sia, di quell’inizio di interpretazione della realtà, di interpretazione della verità che noi siamo, e che è il mito.”


p. 26: “solo la riflessione filosofica può mostrare quale senso possono avere le idee religiose, e che continueranno a restare tali, sia per il credente sia per il non credente: cioè per tutti. Il compito dell’ermenenutica del mito è di chiarire il senso e di universalizzare il mito. Per esempio - poniamo - l’idea di Dio: rispetto all’idea di Dio non ha il compito di definire l’essenza di Dio né tantomeno il compito di dimostrare l’esistenza di Dio. Ha il compito semmai, di fronte a un’idea come quella di Dio, di vedere che cosa significa credere in Dio o negare Dio, credere in Dio sia per il credente sia per il non credente”


p. 28: “Si tratta di prospettare la libertà nei suoi due significati fondamentali: [...]la libertà come inizio, come inizio assoluto[...]e la libertà come scelta; …nella sua duplicità, ambiguità di positività e negatività”


p. 28: “ la libertà è illimitata, arbitraria, assoluta, sovrana, questo potere immane, grande e terribile, che si vede tanto in Dio, come potere di originare se stesso, anzitutto, e di creare il mondo, quanto di contenere in sé la possibilità del male, tanto nell’uomo, come potere di obbedire a Dio o di contestare Dio, di metterlo in questione e quindi di sconvolgere il mondo, e quindi potere di onni- e autodistruzione, di scegliere l’inferno (cioè di far essere l’inferno, che ovviamente non è né un luogo né una pena, ma uno stato e una scelta).”

“Nella libertà non c’è un più o un meno: essa è o non è: essa è sempre arbitraria, assoluta, tanto nella sua originarietà quanto nella sua derivatezza. “


p. 29: “ Certo, in Dio è un’illimitatezza positiva, un’infinità; nell’uomo è una specie di illimitatezza negativa, cioè che è senza legge razionale, senza legge immanente e costitutiva.[...]Dio è autore non solo dei propri atti, ma anche della propria libertà, mentre invece l’uomo è autore dei propri atti, ma non autore della propria libertà, e in questo senso Dio è irresponsabile, mentre invece l’uomo è responsabile. Dio è irresponsabile in quanto atto puro, pur non essendo capriccio; e l’uomo è responsabile in quanto ha questo limite iniziale, ed è responsabile anche di ciò che per avventura non sia fatto liberamente.


p. 30-32: “ un atto della libertà [umana] …piomba inatteso, coglie di sorpresa, coglie impreparati, …nulla di ciò che lo precede basta a spiegarlo[...]non tollera né il concetto di causalità né il concetto di possibilità: non è l’effetto di una causa, e nemmeno è la realizzazione che ha prima di sé qualcosa di possibile:[...]È assolutamente indeducibile.[...]È preceduto da un intervallo minimo e brevissimo, quasi impercettibile, eppure abissale, profondo, decisivo. Sembra soltanto un intervallo, ma è un abisso.[...]In realtà, ciò che lo precede è il nulla: il nulla della libertà. La possibilità come preannuncio, presagio, anticipo, prefigurazione, antecedente, non esiste, è illusoria, è un nulla, è evanescente. Non è che il futuribile del prima, cioè un puro lemure, un puro fantasma. La libertà comincia dal nulla: il nulla della libertà. È un puro inizio nel vuoto di tutto. L’atto della libertà (un evento, un fatto della libertà) è un atto di scelta a cui nulla preesiste. 

[...]

Il carattere della libertà è appunto questo: di non essere preceduta che dal nulla. La libertà non è preceduta che dalla libertà stessa.[...]La libertà è postulata dalla libertà stessa: è un atto di libertà quello che afferma la libertà. L’atto che afferma la libertà è già esso stesso un atto di libertàNon c’è dimostrazione o deduzione della libertà: appunto perciò tanto meno ce n’è una definizione[...]È inspiegabile, indimostrabile, incomprensibile. Non se ne ha un’”esperienza”, o meglio: esperienza ne è l’atto stesso di libertà, la si esperisce esercitandola in atto.[...]La libertà non si prova che con la libertà, non si dimostra che con la libertà, non si esperisce che con la libertà: e questo non è un circolo vizioso, ma è l’atto stesso (“virtuoso”) della libertà. La libertà nasce da se stessa, afferma se stessa, realizza se stessa. È una creazione di sé attraverso di sé, è un’auto-creazione, un’auto-posizione.[...]La libertà è la scelta della libertà. Non esiste l’essere libero “in potenza”: liberi lo si è solo in atto.”


p.33: “ Le cosiddette «conseguenze incalcolabili» della libertà risiedono precisamente nell’irrevocabilità del prodotto della libertà. Non si possono prevedere: cominciata dal nulla, la serie iniziata dalla libertà continua con effetto a valanga.


p. 34: “ con la libertà comincia il tempo[...]c’è un nesso fra la libertà e il tempo.

[in nota: ms prosegue:][...]Un atto di libertà è inizio di storia[...]Il tempo già di per se stesso è ambiguo[...]Ma in questo suo nesso con la libertà è ulteriormente ambiguo: 1) tempo discontinuo, aperto ai cominciamenti, , pieno di buchi = fessure per inizio, tempo sussultorio, a singhiozzo, propizio ai salti e soprassalti   2) serie, successione, sviluppo di ogni inizio


p. 34: “ A maggior ragione puro inizio è la libertà divina, di cui - come dicevo - a ragione quella umana è considerata come immagine.”


p. 35: “Dio non è che libertà, e assolutamente liberi e arbitrari sono tutti i suoi atti, ma precisamente il suo atto iniziale di autoposizione.”


p. 35: “ non è che Dio sia libero in quanto non segue che la propria «natura», secondo il concetto spinoziano di libera necessitas. In Dio esistenza ed essenza fanno tutt’uno e sono un solo e medesimo atto di libertà in esercizio.”


p. 36: “Dio, per definizione, non presuppone un altro essere: presuppone un abisso, presuppone il baratro della ragione di cui parlava Kant, il quale figura Dio come quello che sul limite dell’eternità dice: «Da me provengono tutte le cose, ma io, io, da dove provengo?»

Dietro a Dio c’è il vuoto, il non essere, il nulla? Sarebbe questa la risposta? Un modo di evitare questa risposta è di concepire Dio come essere necessario, e l’intera storia della filosofia è percorsa da questo concetto, che Kant ha messo così bene in crisi. Ma è ovvio che l’idea di Dio come essere necessario non è degna di lui, perché Dio come essere necessario non potrebbe essere concepito se non come una realtà inerte, cieca, che è lì ed è quello che è: non è degna del «Dio vivente» dell’esperienza religiosa e della Bibbia.[...]Nel «baratro della ragione» non c’è la necessità di Dio: ma questo vuol dire che c’è soltanto il vuoto, il non essere, il nulla? No. in quel punto c’è l’abissalità stessa di Dio e del nulla, insieme.

Mi si perdoneranno certe espressioni, perché siamo al limite del dicibile.”


p. 37: “La libertà di Dio pone l’esistenza di Dio[...]l’abissalità divina, il nulla della libertà come inizio, pone l’esistenza di Dio, cioè il frutto di questa libertà, che diventa quindi un fatto storico. Il primo fatto storico in assoluto è l’esistenza di Dio, che perciò è indeducibile - che perciò è iniziale.

In quel punto in cui Dio è anteriore a se stesso c’è anche l’abissalità del nulla. Prego di considerare una cosa, che quando parlo di Dio vorrei ci si spogliasse un poco di tutto quanto di solito si intende con questa parola, perché altrimenti il mio discorso diventa un po’ incomprensibile, Io vorrei che si verificasse questa situazione iniziale, in cui per «Dio» si intende la libertà originaria, l’origine, questo prender fuoco della fiamma della libertà.

[...]

Insieme all’abissalità di Dio, che è già un contatto col nulla, c’è appunto l’abissalità di questo stesso nulla; quel vuoto della libertà è anche il nulla, che Dio come libertà espugna e debella, istituendosi come esistente. L’espressione «Dio prima di Dio», oppure «inizio eterno», indica l’irruzione di Dio nella realtà. E questa irruzione di Dio nella realtà è una vittoria sul nulla. Il primo atto in assoluto è quello con cui Dio, con la libertà che è la sua essenza, istituisce la sua esistenza, dissipando la nebbia del non essere e vincendo la negatività del nulla.”


p. 40: “Dio stesso ha sottoposto se stesso e la sua creazione al giudizio umano.[...]ovviamente attendendosene accettazione, collaborazione, approvazione, obbedienza; però pronto anche a riceverne rifiuto, disobbedienza, ribellione, e ha finito poi per dover subire la rivolta umana, perché la libertà umana, proprio come libertà, può ostacolare il volere divino, e l’ha fatto appunto come s’è visto nel racconto del Genesi. Dio, creando l’uomo libero, si espone a un pericolo, corre un rischio: non è senza inquietudine che crea l’uomo. E infatti, dopo aver creato l’uomo, di fronte a che cosa si è trovato? Si è trovato di fronte al fallimento della sua creazione. È stato un vero e proprio fallimento della creazione divina.”


p. 47: “ La libertà è così libera ch’essa[...]è libera di non esser libera, che essa si afferma e si realizza non solo nell’atto in cui appunto si afferma e si realizza, ma anche nell’atto in cui si nega.[...]si afferma anche nella negazione e con la negazione, sebbene tale negazione la esponga alla distruzione di sé. Ma talmente forte è la sua forza affermante e il suo impeto di affermazione che anche questa sua negazione ha qualcosa di positivo: non è semplicemente un negare, ma è un distruggere; è una forza negativa, anzi negatrice, anzi distruttiva, che diventa al tempo stesso autodistruttiva e onnidistruttiva. Il non essere scelto dalla libertà, quando la libertà sceglie di non essere, sceglie di ritornare indietro – questo non essere scelto dalla libertà diventa il nulla; la negazione che la libertà fa di sé diventa distruzione, perché – ripeto – c’è di messo l’atto della libertà. Non essere (o negazione) + libertà (inizio, impeto, scelta) = nulla (distruzione, male). Il non essere più la scelta è il male.[...]Il male è il non essere scelto.”

[più avanti dirà: (p. 265.) “La libertà negativa non è inerzia o privazione, carenza o manchevolezza, ma impeto di distruzione e istinto di morte, che con terribile efficacia e sinistro vigore fende e traversa il mondo intero.”


p. 47-48: “c’è la libertà che preferisce il male: e questa è la libertà dell’uomo.[...]C’è la libertà che in qualche modo viene in contatto col nulla, ma nell’atto di vincerlo; che è conoscenza del nulla, ma come vittoria su di esso[...]c’è la libertà che[...]preferisce la vittoria sul nulla, preferisce il bene: e questa è la libertà di Dio.”


p. 49: “Come libertà negativa, la libertà al tempo stesso si nega e si afferma. 

E qui bisogna notare un fatto: che non v’è equipollenza ed equivalenza tra la libertà positiva e la libertà negativa. La duplicità della libertà[...]si presenta pur sempre sullo sfondo del primato del positivo.[...]Rispetto alla scelta positiva, la scelta negativa rimane una possibilità, solo una possibilità[...]Invece, nella scelta negativa, la libertà nell’atto stesso di negarsi si afferma.”


p. 49-50: “Il positivo primeggia a tal punto che lo stesso atto di negazione può esercitarsi solo con un atto positivo con cui la libertà afferma se stessa[...]non mera negazione, ma vero e proprio annientamento, cioè forza contraria, forza negatrice, distruttiva.

Così si spiega la realtà del male, il male come realtà. Il negativo può esistere solo come[...]realtà negativa animata dalla stessa affermazione della libertà. Il male è mosso dalla stessa energia che muove il bene; il male non si realizza se non attraverso l’energia che anima il bene.”


p. 51: “In base a questa concezione che propongo l’universo, la realtà, la vita non è in preda alla negatività, ma è segnata dall’ambiguità, per quanto si renda conto dell’enorme, immensa importanza della presenza del male e della sofferenza nel mondo. Tuttavia non vede il mondo abbandonato al male e alla sofferenza, ma vede che questa presenza è immensa, enorme, sproporzionata, e in ciò vede l’ambiguità che percorre la realtà. L’ambiguità in Dio, che è libertà originaria e centro dell’universo; l’ambiguità nell’uomo, che nella sua libertà è coesistenza di positivo e negativo, conflitto fra bene e male.”


p. 51: “Ma il bene e il male non preesistono alla scelta: sono dopo la scelta, sono il bene e il male scelto, cominciano ad essere dopo la scelta come scelta positiva o negativa, come bene scelto o male scelto.[...]che la scelta divina è stata scelta del bene e la scelta dell’uomo è stata la scelta del male, dev’essere visto alla luce della seguente osservazione: non che debba necessariamente essere così[...]è stato un atto di libertà e quindi un fatto indeducibile, inspiegabile, imprevedibile, indimostrabile.”


p. 53: “Se la scelta di Dio fosse stata una scelta negativa, non ci sarebbe stato un «Dio cattivo»: non ci sarebbe stato niente, cioè Dio non sarebbe venuto all’essere[...]Del resto, una volta che noi esistiamo, quando diciamo « Dio non esiste» intendiamo dire che il mondo è assurdo, e quindi riconosciamo che l’inesistenza di Dio è il vuoto del mondo. E se l’uomo avesse scelto il bene?[...]prima di tutto non ci sarebbe stata storia: la storia è nata con la caduta.[...]non ci sarebbe stata la separazione di bene e di male perché il male non si sarebbe realizzato.”


p. 54-55: “Il male nella sua realtà si trova nel mondo storico-umano, dove è stato realizzato dall’uomo. Ma si può veramente attribuire all’uomo tante creatività, tanta inventività da inventare il male?[...]Una potenza per realizzarlo, dopo che ne ha trovato la traccia, sì, ma la potenza di realizzarlo dopo aver già sprecato tutte le sue eventuali energie nel cercare e nel riuscire a inventarlo, no: la finitezza dell’uomo non è da tanto. Bisogna che l’uomo abbia trovato l’idea del male, uno spunto di male, e che lo consideri come una possibilità da tradurre in realtà. E dove l’ha potuta trovare, questa possibilità?[...]Non ha potuto trovarla se non in Dio. Ma in Dio il male non può essere reale, perché Dio è il bene scelto, Dio è stata la realizzazione del bene. Ma era possibile realizzare il bene se non scegliendolo? E scegliere il bene è possibile, se non operando questa scelta con la possibilità della scelta opposta, cioè della scelta del male? No. Se scelta è scelta, è duplice (perché se Dio non avesse avuto altro che l’univoca possibilità del bene, non sarebbe stata una scelta la sua, ed egli non sarebbe il bene scelto)[...]Quindi è in Dio il male – naturalmente come possibilità.[...]In Dio il male e il nulla rimangono come possibilità messe da parte, inattuali, inoperanti, dormienti, sopite, latenti, ma non per questo meno inquietanti. Nell’affermazione divina il male è una possibilità non realizzata, anzi esclusa per sempre, che rimane (anche se latente e sopita nell’abisso divino) non come realtà, ma pur sempre come una possibilità, disponibile.”


p. 56: “È quella che Barth chiama l’«ombra in Dio»[...]Il male è istituito come possibilità nell’atto stesso che è vinto.[...]Dire questo, parlare della presenza del male in Dio, è un’espressione certamente sconcertante, ma secondo me inevitabile, anche perché non ne risulta né compromessa né scalfita la positività divina: non è per niente una demonizzazione di Dio.[...]

Sì, bisogna ammettere che dicendo «il male in Dio» si allude a un aspetto oscuro nell’essenza divina – che è una conferma dell’ambiguità originaria, che è un aspetto opaco, che rientra nell’abissalità insondabile di Dio.”


p. 56: “la stessa positività di Dio è una provocazione, è una causa indiretta del male, è una sfida all’uomo, è una tentazione, è un’incentivo.”


p. 57: “[...]Così anche Dostoevskij: l’uomo nel suo orgoglio non può non voler essere Dio; l’uomo non può riconoscere Dio senza volersi mettere al suo posto. Non c’è altro riconoscimento che la rivolta.lo stesso riconoscimento è già una rivolta, è già una ribellione.”


p. 58: “Quindi la stessa positività divina è uno stimolo alla ribellione, ed è questo che è accaduto nel peccato originale: con la sua caduta l’uomo ha ridestato nella positività divina quella negatività che, vinta e soggiogata, qui perdurava dormiente. Dio è la possibilità che il male esista, cioè sia realizzato: questo vuol dire che Dio è la scelta del bene. Dire: «Dio è la scelta del bene», «Dio è il bene scelto», significa dire: «Dio è la possibilità che il male esista», cioè che sia realizzato dall’uomo, cioè che si realizzi il peccato originale. E allora per converso l’uomo… anche lui nel suo piccolo è la possibilità che il bene esista, venga realizzato attraverso la salvezza.”


p. 61-62: “Dire «Dio esiste» significa dire: «è stato scelto il bene»[...]Si dirà: com’è possibile ciò, se noi uomini viviamo nella lotta continua e senza fine fra bene e male?[...]Rimangono in tal modo distinti due regni: l’eternità, vittoria sul male definitiva ed eterna; la storia temporale, lotta tra bene e male, continua, incerta. Come vanno d’accordo questi due termini?[...]È con l’atto libero della caduta che ha luogo l’inizio della storia temporale umana e quindi del conflitto e del contrasto senza fine. Con la caduta l’uomo ha, per così dire, spaccato l’eternità, vi ha inserito un cuneo che per un verso ha respinto indietro e per l’altro verso ha proiettato in avanti la vittoria sul male, proiettandola insieme come un passato o come un futuro, e in mezzo vi ha messo il tempo umano, la storia umana.”


p. 63: “Non c’è evoluzione in Dio. Egli resta in ultimo com’era all’inizio[...]ciò che varia è la prospettiva umana, che pone come oggetto finale di speranza ciò che era originario oggetto di fede; cioè fede nel senso che è stato scelto il bene, e quindi il mondo ha un senso; questo è una fede[...]E la speranza vuol dire la fiducia che il male finirà”


[seguono parti sulla storia della salvezza, tra le quali cito solo due passaggi:

p. 70: “il dolore vince il peccato, la sofferenza vince il male”

p. 71:”proprio ciò che segna il massimo della negatività nell’universo, cioè il fatto che l’uomo ha costretto Dio a condividerne la sofferenza, e che la sofferenza in Dio arriva sino al punto da farlo morire, e fino al punto che nel grido della croce Dio stesso si rivolge contro di sé in quanto abbandona il Cristo - questa specie di momento ateo della divinità in cui Dio sembra negare se stesso,[...]- è anche il punto di partenza per la riscossa. Per l’effetto redentivo della sofferenza, essa diventa la negatività più forte di ogni negatività: come dicevo, il dolore è più forte del male.”]


p. 81: “L’esistenza di Dio significa tre cose: l’uomo è peccatore; il mondo ha un senso; il male finirà”


p. 227: “Non c’è indizio più sicuro della divinità che la realtà stessa del male, e l’esperienza del male è il miglior accesso a Dio. Il male è impensabile senza Dio, ch’è il termine della trasgressione in cui esso consiste e il principio della redenzione di cui esso necessita.[...]Non è difficile riconoscere che se non ci fosse Dio il male non sarebbe, e che la stessa esistenza del male attesta la presenza di Dio, di un Dio offeso e irato e di un Dio sofferente e redentore. E si può aggiungere che proprio in questa inseparabilità dell’esistenza di Dio e dell’esperienza del negativo consiste quello che si può chiamare il pensiero tragico. …

La questione del male e del dolore nel mondo e la questione di Dio sono inseparabili.

Da qui il dramma del nichilismo classico, che vuole affermare insieme l’inesistenza di Dio e la negatività e assurdità del mondo. Da un lato la considerazione del mondo come assurdo è di per se stessa la negazione dell’esistenza di Dio.[...]Ma d’altra parte l’assurdità del mondo è constatabile solo in presenza di Dio: solo se riferito a Dio, cioè alla positività originaria, il mondo appare in tutta la sua negatività e assurdità. Donde il carattere incerto e contraddittorio del nichilismo classico, il quale considera Dio come negato da quelle stesse circostanze che prospettate in tutta la loro portata non fanno che affermarlo. Il nichilismo classico dimostra con ciò che il suo orizzonte è ancora quello religioso, e in ciò risiede la sua tragicità.”


p. 227-228: “Ma a ribadire che il problema di Dio e il problema del male sono inseparabili è intervenuto un nichilismo più radicale e forse più coerente[...]. Si tratta di un nichilismo che nega tanto la divinità quanto la negatività, ben sapendo quanto esse siano connesse, e che si presenta some un ateismo confortevole e consolatorio.[...]Un nichilismo che mostra come l’ateo conseguente deve necessariamente negare il male. Tragicità, religiosità, negatività, sia come male sia come dolore, vengono spazzate via lasciando il posto a una serenità priva di problemi, e solo l’ateismo estremo è capace di tanto.”


p. 228-229: “Alla luce di questi sviluppi, non ha più senso l’alternativa classica: o la teodicea, che cancella il male, o l’ateismo, che cancella Dio. La scelta attuale ormai è: o cancellare sia Dio sia il male, o affermare tanto Dio quanto il male. La prima via è quella dell’ateismo confortevole, del nichilismo consolatorio; la seconda via è quella del pensiero tragico. Agli occhi del nichilismo confortevole la domanda sul senso della vita non ha senso: il mondo non è né assurdo né non assurdo. Il pensiero tragico invece non si accontenta di questo non luogo a procedere, che sfuma la serietà della vita nella leggerezza del vivere.

[...]

Se la vita non ha un senso, essa non è tragica, anzi è sopportabile; è facile fare di necessità virtù. Ma se c’è un senso della vita, se Dio esiste, allora c’è la sofferenza, il male, la morte, in tutto il loro orrore, cioè Dio è crudele. Ma Dio non è tormentatore senza essere redentore.”


p. 229-233: “Non è un cristianesimo facile e comodo, come potrebbe essere quello abitudinario e tradizionale di chi è conciliato con una totalità, o quello sentimentale e consolatorio delle anime belle, o quello eclettico e agevole dello spiritualismo, ma è un cristianesimo drammatico e conflittuale, agonico com’è stato denominato in una fortunata definizione.[...]Del resto come potrebbe essere il cristianesimo del tempo dell’ateismo e del nichilismo …e l’ora esige una nettezza lontana da illusori compromessi? Non ci si aspetterà dal cristianesimo dell’epoca del nichilismo la sicurezza, la dolcezza, la transazione.[...]Un cristianesimo attuale non può essere che del genere di Lutero e di Kierkegaard, un cristianesimo che vomita i tiepidi.[...]Non che l’autentico cristianesimo rifugga dalla speranza di consolazione, ch’è aspirazione così legittima degli uomini sofferenti;[...]Ma la consolazione cristiana è dialettica: non soltanto duramente conquistata attraverso la sofferenza, ma anche costantemente accompagnata da essa.

[...]

Del resto la situazione di Dio è tragica, e non può non esserlo: l’uomo gli ha fatto fallire la sua creazione, e ora non può essere che lui stesso, Dio, a ripararla.

[...]

un accesso a Dio è possibile soltanto attraverso il Dio sofferente e redentore. Il problema oggi non è più quello di una teologia naturale, che sia accettabile anche dalla pura ragione, ma quello ben più attuale della cristologia, d’una cristologia per così dire laica, la quale come pensiero tragico sia in grado di coinvolgere tutti, credenti e non credenti.

[...]

attraverso Cristo si conosce non solo Dio, bensì anche noi stessi e la nostra miseria.”

2 marzo 2024

"Let it be" o "I care"? Questo è il problema

 



Come al solito, in questo tipo di dilemmi umani sulle regole della saggezza, occorre probabilmente solo trovare la giusta mescolanza, o meglio la giusta alternanza. Occorre tenere entrambi i corni del dilemma, sentendo/sapendo quando conviene giocare l'uno o l'altro atteggiamento

Lasciar essere il mondo e noi stessi. Accettarsi per come siamo. Capire e amare il destino, la necessità.

Ma anche prendersi cura, coltivare il proprio orto (il proprio corpo, la propria mente, le relazioni che abbiamo con gli altri, il pianeta, l'umanità, il proprio campo professionale). Cercare di migliorarsi, andare in psicoterapia, nutrire la propria mente leggendo, elaborare progetti, creare qualcosa che ci rappresenta, o che rappresenta il nostro modo di vedere il mondo.

Forse le due regole di saggezza presuppongono due visioni opposte delle cose: una nella quale le cose e gli eventi sono contingenti, e l'altra nella quale le cose e gli eventi sono necessari.

Ma anche su questi presupposti, forse, occorre comprendere la giusta mescolanza, Forse la natura è proprio un misto delle due modalità: tratti nel quali le cose non possono che procedere in un certo modo e tratti nei quali invece si aprono possibilità alternative e quello che accade avrebbe potuto non accadere.

Oppure le due regole di saggezza scaturiscono dai due processi mentali che abbiamo a disposizione: il sistema intuitivo (veloce, inconsapevole, automatico) e il sistema razionale (lento, consapevole, impegnativo).





23 gennaio 2024

Achille Varzi scioglie l'apparente paradosso della serie dei numeri naturali nella Biblioteca di Babele numerica

 



Sovreccitato dall'impressione di avere scoperto un nuovo paradosso logico-matematico, ed avendolo poi riformulato in modo ancora più preciso attraverso una Biblioteca di Babele fatta solo di caratteri numerici, virgola e spazio, scrivo ad Achille Varzi per avere un parere, ricordandomi che anche lui si era occupato, in un suo saggio breve, delle implicazioni filosofiche del racconto di Borges.

Con la sua mente velocissima, Achille si è prontamente messo a pensare e mi ha risposto. 

Riporto qui il nostro carteggio, per mostrare come Varzi sia riuscito ad individuare l'inghippo, il nodo che originava l'impressione paradossale.

Ringrazio anche qui il prof. Varzi per il suo prezioso contributo, e per la gentilezza mostratami nel concedermi senza problemi di pubblicare lo scambio di mail.


Caro Giulio,


Grazie! In effetti, appena ricevuta la sua prima mail, ho cominciato a pensare. La nuova versione del paradosso, in termini di serie di numeri, sembra anche a me più efficace di quella che presentava qualche anno fa, in termini di volumi dedicati alla narrazione della storia dell’universo. (Un volume per secolo, la biblioteca contiene solo un numero finito n di volumi, ma certamente ci sarà anche un secolo n+1.ecc.) 
Vedo tuttavia un problema, che nasce dal fatto che tutti volumi sono di una lunghezza prefissata. Lei infatti scrive giustamente: 

Dobbiamo naturalmente pensare che alcuni numeri saranno così lunghi da scrivere che occuperanno più di un'intero volume, ma questo non è un problema, se ipotizziamo che un numero non lo consideriamo concluso se non è seguito da virgola e spazio, e se un volume si conclude con un carattere numerico e il successivo volume inizia con un carattere numerico dobbiamo considerare che il numero espresso sta "a cavallo" dei due volumi.

In un certo senso, sono d’accordo che la necessità di ricorrere a più volumi non è un problema. Ma lo diventa (ai fini dell’esistenza o meno di un vero paradosso) non appena consideriamo che in certi casi i volumi necessari per esprimere un determinato numero si dovranno ripetere. Mi spiego. Siano j e k due numeri la cui scrittura richiede un volume esatto a testa e sia n un numero la cui scrittura richiede che si scriva j seguito da k seguito nuovamente da j. Evidentemente, avremo bisogno di tre volumi per scrivere il numero n. Ma il terzo volume e il primo saranno identici, cioè, saranno lo stesso volume. Questo semplice esempio illustra in modo chiaro che quando parliamo di numeri espressi “a cavallo” di due o più volumi davvero dobbiamo considerare tutte le *sequenze* di volumi nella biblioteca. E quante sono le sequenze finite di volumi nella biblioteca? Se i volumi presenti in biblioteca sono in numero finito, gli *insiemi* di volumi sono in numero finito, ma le loro *sequenze* (eventualmente con ripetizioni) sono in numero infinito. E se le cose stanno così, allora non c’è paradosso...

Comunque continuo a pensarci!

Un caro saluto,
Achille


La ringrazio tantissimo per questa risposta, intanto per la velocità!
E complimenti anche per come sia riuscito velocemente a trovare un problema serio, che rende (anche se anch’io voglio capire meglio e continuerò a pensarci…!) la questione un paradosso apparente.

Si tratterebbe, in altri termini, se ho ben compreso, di considerare i volumi della Biblioteca come un numero finito di pezzi di un puzzle.

Immaginiamo di poter scrivere la sequenza infinita dei numeri naturali e poi di spezzarla in “pezzi” uguali di n caratteri (dove n è il numero totale dei caratteri di un volume standard della Biblioteca). Il fatto che ciascun “pezzo-volume” sia contenuto nella Biblioteca vuol solo dire che ce ne saranno alcuni (ma quanti? Non certo tutti, perché moltissimi volumi presentano serie disordinate, per es. “8765, 23456789, 123432142345678, …..”) che vengono ripetuti x volte (infinite volte?).

Non so se ha visto che in nell’ultima versione ho poi aggiunto un ultimo pezzo: “Paradosso nel paradosso”:

Ulteriore paradosso nel paradosso: i volumi della serie ordinata dei numeri naturali, in un certo senso, sembrerebbero dover essere di meno dei volumi totali della Biblioteca, perché i volumi totali contengono anche tutti quelli composti da cifre in totale disordine, quindi molti di più di quei pochi (ma infiniti!) volumi ordinati della serie.

C’è infatti anche questa complicazione in più: che i volumi “ordinati” e “ordinabili”, in teoria, sembrerebbero dover essere di meno di quelli disordinati…

Un vero pasticcio… ma penso che la cosa si possa rendere più pensabile se si restringono via via i “pezzi” del puzzle a formati molto più brevi. Proverò a pensarci in questo modo, e se viene fuori qualcosa di interessante le faccio sapere.

Un saluto, con grande stima e riconoscenza
Giulio


Caro Giulio,

Grazie per la gentile risposta. In effetti ci sono due questioni da considerare. 

– La prima è quella a cui facevo riferimento io, che in sostanza si risolve nel fatto che nella Biblioteca bisogna stare attenti a non confondere tra volumi e libri. I primi sono in numero enorme ma finito, dato che sono semplici combinazioni di lunghezza prefissata (finita) di un insieme finito di simboli. I secondi, invece, nella misura in cui un libro può richiedere più di un volume, sono in numero infinito, dato che non c’è limite alle sequenze finite di volumi (con possibili ripetizioni) che si possono considerare. Questa distinzione tra volumi e libri vale in generale nella Biblioteca di Babele, ed è per questo che forse si può davvero dire che la Biblioteca contiene tutti i libri possibili nonostante contenga soltanto un (enorme) numero finito di volumi. 

– La seconda questione riguarda la distinzione tra serie ordinate e disordinate su cui giustamente lei richiama l’attenzione. Nell’esempio che facevo io, avevamo una sequenza di tre libri dove il terzo era identico al primo: j_1 . . .  j_n k_1 . . . k_n j_1 . . . j_n (dove n è il numero totale dei caratteri di un volume). Ora, questo è semplicemente un libro in tre volumi che contiene un certo numero. Non è detto che figuri nella sequenza infinita dei volumi che contengono la serie dei numeri naturali nel giusto ordine. (È molto improbabile che lo sia, cioè è improbabile che il numero precedente termini proprio alla fine dell’ultima pagina dell'ultimo volume del libro precedente.) Tuttavia resta il fatto che libri del genere devonoper forza di cose figurare in quella sequenza infinita.
Per esempio: supponiamo per estrema semplicità che ogni volume consista di un’unica pagina di un’unica riga di due caratteri. Allora la serie che cerchiamo sarà composta dai seguenti volumi:

0,
1,
2,
3,
4,
5,
6,
7,
8,
9,
10
,1
1,
12
,1
3,
14
,1
5,
16
,1
7,
18
,1
9,
20
.
.
.

Come vede, i volumi ripetuti sono tanti!

Mi dispiace che la mia risposta non abbia confermato la scoperta del paradosso, ma spero davvero che le possa essere utile (e se vuole citare questo scambio, lo faccia pure senza problemi).
Un cordiale saluto,
Achille