29 novembre 2009

Immaginare forme di esistenza più vicine alla realtà





A conclusione del primo post di questo blog (Spazio e tempo, ottobre 2008) scrivevo:

"In conclusione possiamo dire che il modo nuovo in cui la fisica ha elaborato le nozioni di spazio e di tempo, e in connessione con queste anche la nozione di cosa materiale (soprattutto con il concetto di campo), ci obbliga a rivedere i nostri significati del termine “realtà” e apre la nostra mente verso nuovi modi di pensare ciò che esiste, e quindi può fornirci anche categorie nuove per pensare la nostra esperienza. In particolare notiamo che l’evoluzione della fisica sembra mostrare ai filosofi, ma più in generale a tutti noi, che la realtà è spesso irriducibile alle coppie concettuali con cui cerchiamo di rappresentarla: spazio/tempo, passato/futuro, oggetti/eventi, sostanza/relazione, cosa/luogo, pieno/vuoto, corporeo/incorporeo, esistente/inesistente, discreto/continuo, e forse anche altre, sono distinzioni concettuali a cui siamo abituati ma che saremo costretti sempre più a rivedere (a meno che la filosofia, e la cultura in generale, non scelgano, come purtroppo spesso fanno, di ignorare i progressi della conoscenza scientifica)."

Credo sia sempre più vero, col progredire delle conoscenze scientifiche, che abbiamo bisogno di rinnovare il nostro apparato concettuale, ridefinendo concetti vecchi (restringendo il loro campo semantico) e dando vita a concetti nuovi.

Il concetto di sostanza, insieme a quelli di cosa e di oggetto, è forse quello che più lega la nostra mente e la condiziona a pensare in modo vecchio, soprattutto in quanto è su questi concetti che siamo abituati a pensare l'esistenza, l'essere.

Suggerisco un video che ha il pregio di aiutare la nostra immaginazione a superare i limiti del modo "cosale" e statico di pensare l'essere, e azzardo che forse la fisica contemporanea ha più da insegnarci in proposito rispetto a quanto può insegnarci Heidegger con le sue tesi sull'essere come evento... Con questo non voglio assolutamente svalutare il ruolo della filosofia: c'è un gran bisogno che qualcuno (e non può essere che un filosofo) ci dica come tradurre in ontologia le teorie fisiche più avanzate.

http://www.youtube.com/watch?v=0NxyJcawNME

Come suggerisce anche l'immagine scelta per questo post, di un illustre rappresentante della corrente dell'informale, intendo anche sostenere che contributi importanti per aiutare la filosofia in questo arduo compito di ripensare le modalità di esistenza possono venire dal mondo dell'arte.

23 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte II)



Un autore che può aiutarci a costruire una nozione di "caso" più adeguata ai nostri scopi è sicuramente Georg Henrik von Wright (1916-2003), e in particolare una sua opera dal titolo Causalità e determinismo (1974).
Secondo questo autore quando parliamo di relazioni causali intendiamo riferirci a regolarità necessarie. La necessità causale va distinta dalla necessità logica. von Wright propone la seguente definizione di rapporto causale fra due eventi generici (A e B): A è condizione sufficiente di B se ogni volta che A si verifica anche B si verifica e se in tutte le occasioni in cui A non si verifica B si verificherebbe se A si verificasse. Una connessione causale è quindi in linea di principio descrivibile da una legge generale. Va però osservato che non possiamo in realtà essere certi della necessità causale, perché contiene un elemento controfattuale (B si verificherebbe se A si verificasse) : non possiamo interferire con il passato (non possiamo andare a vedere, nei casi in cui A non è accaduto, cosa sarebbe successo se fosse accaduto). Possiamo però interferire con il futuro e renderlo diverso da quello che altrimenti sarebbe. Vi è secondo von Wright un elemento controfattuale implicito nel concetto di azione. Agire significa interferire con il corso del mondo, cioè rendere vero qualcosa che altrimenti (cioè se non fosse stato per questa interferenza) non sarebbe divenuto vero del mondo a quel dato stadio della sua storia Quando agiamo siamo fermamente convinti (ma anche qui non possiamo esserne certi...) che se non agissimo le cose andrebbero secondo il loro corso "normale", in qualche modo prevedibile e "regolare" (qui immaginiamo di agire in un contesto naturale, privo di agenti umani). Se vogliamo corroborare la nostra ipotesi che la connessione fra l'evento A e l'evento B sia causale e quindi necessaria possiamo provocare artificialmente A e osservare le conseguenze (è in altri termini quello che fanno gli scienziati con i loro "esperimenti scientifici"). Per questo, secondo von Wright, il concetto di causa presuppone quello di azione. Se noi fossimo completamente passivi di fronte alla natura, se non avessimo la nozione della nostra capacità di compiere azioni, non avremmo familiarità con la nozione di controfattualità (l'idea di come sarebbe stato, se...) e non avremmo nemmeno il concetto di necessità che associamo a certe regolarità nel corso degli eventi naturali. Il concetto di necessità, se esteso a tutta la natura, produce l'idea del determinismo: se tutto ciò che accade ha una causa non esistono reali alternative nella storia del mondo. Quindi l'unico modo per pensare una storia del mondo realmente aperta, nella quale le cose sono andate in un certo modo ma avrebbero potuto (realmente, non solo logicamente) andare diversamente è sostenere che alcuni mutamenti accadono senza una causa. Ciò però non significa che non esista un loro antecedente temporale e/o contiguo nello spazio, ma solo che non esiste una connessione necessaria fra i due eventi: l'evento C ha provocato l'evento D, ma solo in quella circostanza. Il verificarsi di D, quindi, è una irregolarità, è contingente (cioè non necessario). La causalità pone delle restrizioni rispetto alle possibilità logiche di sviluppo del mondo (cioè rispetto a tutte le combinazioni possibili dei suoi elementi costitutivi). Il caso, invece, riporta gli sviluppi realmente possibili verso il numero di quelli logicamente possibili, quindi porta verso la grande variabilità, variazione, imprevedibilità. Una visione del mondo nella quale vi è spazio sia per la causalità sia per il caso è una visione che non è né determinista né indeterminista. Un indeterminista infatti riterrebbe che le alternative realmente possibili coincidano le alternative logicamente possibili e quindi non vi siano restrizioni alla "libertà" logica di sviluppo del mondo. Tornando alla questione della distinzione fra mondo fisico e mondo dei viventi si potrebbe allora dire che nel mondo fisico prevalgono relazioni causali fra gli eventi (ma sarebbe d'accordo uno studioso di meccanica quantistica?), mentre nel mondo dei viventi sono prevalenti relazioni casuali. La teoria dell'evoluzione riconosce l'importanza del caso nel mondo dei viventi, cioè riconosce l'importanza di relazioni uniche, irripetibili, irregolari, contingenti, fra gli eventi che riguardano gli esseri viventi e fra i loro componenti microscopici. Questa teoria ci insegna quindi che riconoscere l'esistenza del caso non significa rinunciare alla conoscenza e alla teorizzazione, bensì elaborare concetti adeguati agli oggetti che si studiano. Il problema filosofico sul caso in relazione alla vita e ai fatti dell'umanità è se una forte componente casuale nelle relazioni fra gli eventi introduca una svalorizzazione o no degli eventi stessi. Normalmente siamo portati a pensare che un evento necessario sia più importante di un evento casuale, ma forse proprio qui dobbiamo cominciare a cambiare idea: le vere novità, le vere svolte nella storia del mondo le introduce il caso, non la necessità! Il caso è creativo, la necessità è ripetitiva...

10 novembre 2009

Cosa vuol dire essere darwinisti? (parte I)

Nel suo ultimo libro Perché non possiamo non dirci darwinisti Edoardo Boncinelli propone una brillante sintesi sulla teoria dell'evoluzione incluso il neodarwinismo, con il dichiarato intento di restituire tale teoria alla scienza: non si tratta di una teoria filosofica. E' vero però, e anche Boncinelli sembra d'accordo, che è una teoria nella quale possiamo trovare punti di partenza per una riflessione filosofica sulla vita in generale e sull'uomo in particolare. Vorrei raccogliere alcune riflessioni che ho fatto leggendo il libro. A differenza del mondo fisico, dice Boncinelli, che "ha le sue leggi generali se non universali, i suoi principi particolari e locali e le sue regole applicative" il mondo della vita è diverso. "Qui non ci sono leggi universali e neppure principi particolari, mentre abbondano descrizioni e narrazioni, quasi sempre illustrate: la vita è una collezione di entità uniche, sostanzialmente irripetibili". La biologia è quindi in realtà una scienza storica, dice B.: "molte cose sono andate in una certa maniera, ma potevano anche andare in un'altra". Poco più avanti dice che anche il mondo fisico, secondo la cosmologia più recente, possiede una storia e una sua evoluzione. "Le differenze" (fra i due mondi) "risiedono nell'entità delle diverse scale temporali e nel fatto fondamentale che gli esseri viventi conservano una memoria esplicita degli eventi del passato". In altri termini: gli esseri viventi hanno un genoma, gli esseri inanimati no. Già in queste poche righe i motivi di riflessione sono molti, ma qui per ora vorrei soffermarmi su questo: in che senso possiamo dire che nel mondo della vita molte cose sono andate in una certa maniera ma potevano anche andare in un'altra? Su quali basi empiriche possiamo affermare la contingenza di un certo evento? "Tutto il processo evolutivo trae origine dal fatto che ogni tanto, per caso, nascono individui varianti in popolazioni naturali ma anche in popolazioni artificiali." "l'incostanza, il cambiamento incoercibile e il caotico procedere verso un futuro aperto è la cifra essenziale del biologico e in definitiva del vivente, in netto contrasto con l'assetto quasi regolare del mondo della fisica" Il fatto che le mutazioni genetiche siano casuali che significa? Significa "senza una direzione, una preferenza o una tendenza verso un fine particolare" (pag. 51) "Un fenomeno che avviene in modo casuale non significa che non abbia una causa: come ogni altra cosa ne avrà una o, meglio, più d'una. Solo che noi non la conosciamo (...) perché è impossibile, perché è difficile o semplicemente perché non vale la pena di cercarle. (...) quando la copiatura del DNA compie un errore causando una mutazione ci sarà certamente una causa (...) ma nel complesso non la vogliamo ricostruire perché è irrilevante rispetto al discorso generale. " In conclusione (pag. 53) "in questo contesto 'casuale' significa quindi più propriamente 'privo di una direzione e di una finalità specifica'". Su questa nozione di caso occorre approfondire. Intanto chiediamoci: se "casuale" significa "non finalizzato" non potremmo allora applicare tale definizione anche agli eventi del mondo fisico, cioè agli eventi che Boncinelli considera descrivibili da leggi generali e quindi "regolari"? Il fatto che accada una frana, uno smottamento, era forse finalizzato a qualcosa? Si dirà che però una frana, date le condizioni antecedenti, accade necessariamente, mentre le mutazioni genetiche no: sono accadute, ma avrebbero potuto non accadere. Ma abbiamo anche visto che Boncinelli non nega che anche gli eventi casuali abbiano cause. In che senso, allora, avrebbero potuto non accadere? In altri termini il problema che vorremmo affrontare è il seguente. Nella visione del mondo che Boncinelli propone vi è una differenza rilevante fra due "sfere ontologiche": il mondo fisico e il mondo vivente, l'ambito dei corpi inanimati e l'ambito degli esseri viventi. La differenza consiste a suo dire nel fatto che il primo è un mondo dove gli eventi accadono con regolarità e sono conoscibili tramite leggi generali o principi universali, mentre nel secondo mondo la caratteristica predominante è l'irregolarità, l'irripetibilità, l'imprevedibilità (anche se si possono studiare regolarità che riguardano "sezioni temporali" di questo flusso caotico di eventi). Il mondo dei viventi è il regno del caso, e sempre più spazio al caso viene lasciato nelle teorie neodarwiniste, cioè nelle versioni più aggiornate della teoria dell'evoluzione che tengono conto della genetica. Il problema è che nella definizione del concetto di caso che Boncinelli propone non vi sono elementi sufficienti a spiegare le differenze fra mondo fisico e mondo della vita che in termini generali egli efficacemente descrive. Se il caso non è secondo lui, come abbiamo visto, assenza di causa ma è solo assenza di fine non vedo sostanziali differenze col concetto di necessità. Un evento fisico, che accade regolarmente e secondo necessità, è provocato da una (o più) cause ma non ha un fine. L'idea di un finalismo negli eventi naturali è decaduta con la nascita della scienza moderna. Per spiegare e caratterizzare l'irregolarità di alcuni eventi fondamentali riguardanti la vita non basta dire che non sono diretti a un fine. D'altra parte se è vero che il concetto di caso è irrinunciabile nella teoria dell'evoluzione occorre elaborarne una definizione molto più precisa, anche perché attorno a questo concetto si gioca un discorso molto importante sul senso generale degli esseri viventi, uomo compreso.