21 febbraio 2018

Religione, scienza e il compito della filosofia (l’arte, per ora, tace…)









a Franca D'Agostini


Dice Dario: “Il mistero impressiona di più della conoscenza”. Intendeva dire “il mistero fa più paura della conoscenza”, ma a me colpisce la sua frase “sbagliata”. 
Mi colpisce perché non vi leggo la semplice affermazione che ciò che ignoriamo ci preoccupa, che è vero, ma non spiega molto (se non il desiderio di conoscenza). Vi leggo, invece, l’affermazione – molto più azzardata ma ai nostri tempi ormai forse vera e anche, per me, piuttosto inquietante – che la religione è più forte della scienza.
Forse oggi, dopo molto tempo nel quale non è stato più vero, la religione è tornata ad essere più forte della scienza nel determinare le scelte e gli orientamenti degli esseri umani.
Ma dobbiamo anche aggiungere che se è cosi, la colpa va attribuita all’incapacità della filosofia di oggi di raggiungere il suo vero obiettivo (che in altre epoche fu raggiunto, almeno fino a Hegel, ma forse, perché no, fino a Bergson e Husserl, che però sono riusciti poco ad arrivare al grande pubblico, e hanno inciso poco nell’andamento dei tempi), ovvero la costruzione di un sistema o di una collezione di pensieri che sia al tempo stesso sintesi delle conoscenze ma anche fonte autorevole di orientamento dell’agire umano, sia individuale, sia collettivo.
E non sarebbe di per sé un problema: sono d’accordo anch’io che le dispute fra scienza e religione possono essere dei falsi problemi, nel senso che religione e scienza possono imparare a coesistere e a convivere nella mente delle persone senza provocare conflitti perniciosi (e questo Galileo ce l’ha insegnato già molto tempo fa). Ma diventa un problema se l’una pretende di imporsi a discapito dell’altra.
Se la religione sta tornando a imporsi a discapito della scienza, e questo è un problema, come lo è stato ai tempi del Medioevo, considerando i suoi disastri, la colpa è dei filosofi, che non sanno – o non possono, se vogliamo essere più morbidi – più fare il loro mestiere.
Il pericolo opposto, che la scienza possa imporsi a discapito della religione, ha portato a dei disastri enormi, anche peggiori di quelli medievali, ma anche quello è stata colpa dei filosofi: possiamo dire che la filosofia, dopo i primi decenni del Novecento, non è più riuscita a realizzare il suo compito, che è anche quello di riuscire a equilibrare i campi dell’esperienza umana, mediando, mettendoli in comunicazione e aumentandone la consapevolezza critica.

20 febbraio 2018

Libero arbitrio e disunità della filosofia



A/C



Alla radice della “frattura” tra analitici e continentali c’è una questione irrisolta, tutt’ora aperta, che è la questione del rapporto fra scienze della natura e scienze dell’uomo, in altri termini la questione dello scontro/convivenza fra due diversi punti di vista dai quali è possibile guardare e conoscere la realtà umana: il punto di vista che considera l’uomo come uno fra i tanti enti naturali, e che applica quindi (per esempio nella conoscenza del cervello e delle sue “prestazioni”) i modelli tipici delle scienze “dure”, e il punto di vista che considera l’uomo come un ente in qualche modo diverso, con una sua peculiarità (che in ultima analisi è il libero arbitrio, o, nel linguaggio di Alfredo Civita, la “polivalenza della mente”) che richiede l’utilizzo di modelli e linguaggi diversi, modelli e linguaggi che somigliano in qualche modo a come l’uomo si “auto-percepisce” e a come si relaziona con gli altri esseri umani.

In pratica: la frattura analitici/continentali resiste, pur nelle molteplici complicazioni e sviluppi, perché sotto c’è il problema, persistente, del libero arbitrio. Oggi quasi tutti i neuro-scienziati sostengono che il libero arbitrio è una pura illusione, mentre direi che tutte le scienze dell’uomo presuppongono (spesso tacitamente) che il libero arbitrio ci sia.

La filosofia non riesce a “ricucire” la frattura perché manca una posizione condivisa su questo problema (e su tutti i problemi collegati, come il problema mente-corpo, il problema della fondazione dell’etica e dei valori in genere eccetera). Manca una posizione condivisa della filosofia sulla natura umana, ed è da qui che nascono tutti i problemi… Hegel assume il punto di vista umano come qualcosa da cui non è possibile uscire, al punto di fare della Ragione o del Logos la struttura della realtà stessa, mentre gli analitici guardano l’uomo dagli spazi siderali della fisica, per gli analitici la ragione è uno strumento di cui l’uomo si serve per comprendere la natura e se stesso, ma la natura, e l’uomo stesso, non sono fondati sulla ragione stessa, sono fondati su combinazioni di particelle.